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La domanda di autorizzazione è stata ritirata a seguito di un parere negativo del Comitato per le Terapie Avanzate dell’EMA. Occorrerà ripartire da un nuovo studio clinico? 

Non sono rari i casi di terapie geniche precipitate nel baratro del ritiro in seguito alla discussione dei prezzi di rimborso, o in procinto di cadervi per problemi di sostenibilità economica. In ordine di tempo, l’ultimo caso ad aver suscitato accese discussioni - anche se non per problematiche di sostenibilità - è quello di lenadogene nolparvovec, la terapia genica sviluppata da GenSight Biologics per pazienti affetti da neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON) portatori della mutazione 11778/ND4. Osservatorio Terapie Avanzate ha analizzato gli aspetti peculiari di questa situazione con l’aiuto del prof. Valerio Carelli e della dott.ssa Chiara La Morgia, presso l’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche (ISNB), Ospedale Bellaria - Università degli Studi di Bologna.

Appena tre mesi fa, in occasione dell’incontro annuale della North American Neuro-Ophthalmology Society (NANOS), sono stati presentati i dati di efficacia e sicurezza a tre anni di distanza dalla somministrazione di lenadogene nolparvovec (nota anche con il nome commerciale LUMEVOQ), in cui viene utilizzato un approccio di terapia genica (allotopic expression) basata sull’import nei mitocondri della proteina codificata dal DNA mitocondriale ND4. Questa viene ricodificata per essere espressa nel nucleo tramite un vettore AAV2, quindi tradotta nel citoplasma ed infine importata nei mitocondri. Tutto faceva pensare che l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) si sarebbe pronunciata in maniera favorevole riguardo all’immissione in commercio di questo nuovo trattamento che i pazienti aspettavano con ansia e che, secondo il rapporto Horizon Scanning 2023, avrebbe dovuto essere approvato entro il 2024. Invece, la situazione ha preso una piega del tutto differente.

A seguito dell’emissione di un parere negativo da parte del CAT, il Comitato per le Terapie Avanzate, il cui giudizio precede quello del Comitato per i Medicinali ad Uso Umano (CHMP) dell’EMA, l’azienda ha ritirato il dossier di autorizzazione. Solo i diretti interessati da ambo le parti conoscono nel dettaglio tutti i risvolti di una vicenda che mescola elementi regolatori, burocratici e, ovviamente, scientifici. Proprio da quest’ultimo aspetto chiave abbiamo deciso di cominciare la nostra analisi.

UN SOLO OCCHIO O DUE?

“Gli studi clinici i cui risultati sono stati inseriti nel dossier per la richiesta di immissione in commercio presentato all’EMA sono stati condotti sempre con estrema serietà e profondo rigore”, afferma il prof. Valerio Carelli. “Ciononostante essi hanno generato risultati tanto inattesi da aprire svariati fronti di discussione, suscitando numerosi interrogativi all’interno della Commissione in seno all’autorità regolatoria europea. Il primo è che, seppur somministrata in un solo occhio, la terapia genica di GenSight era in grado di produrre un miglioramento dell’acuità visiva anche nell’occhio non trattato”.

In Italia, come in altri Paesi europei, è disponibile l’idebenone, un farmaco già approvato contro la LHON pertanto fin dal principio sarebbe stato difficile - oltre che eticamente scorretto - pensare di realizzare uno studio clinico per la valutazione della terapia genica che prevedesse anche un braccio di controllo con pazienti a cui non erogare alcun trattamento. “Consci dell’ineluttabilità della storia naturale di malattia che finisce per affliggere entrambi gli occhi il disegno di studio è stato strutturato in modo da trattare con lenadogene nolparvovec un solo occhio e usare il controlaterale come controllo”, prosegue Carelli. “In questo modo, oltre a disporre di un parametro di confronto interno avremmo potuto fornire una terapia a tutti i malati arruolati nel trial”.

Purtroppo - o per fortuna - questo ha condotto a un risultato inatteso dal momento che il miglioramento prodotto dalla terapia genica è stato osservato in entrambi gli occhi. “Una delle possibili spiegazioni al fenomeno è il passaggio del vettore virale, forse attraverso il chiasma ottico nell’occhio controlaterale”, spiega la dott.ssa Chiara La Morgia. “Ciò in parte è stato dimostrato su modelli animali che hanno evidenziato la presenza del vettore virale anche nell’occhio controlaterale rispetto a quello trattato, anche se in quantità più bassa; quindi l’ipotesi che il passaggio del vettore virale all’occhio non trattato ne giustifichi il recupero rimane speculativa”. A questo punto, l’ente regolatorio europeo ha constatato che l’endpoint primario - inteso come differenza tra l’occhio trattato e non trattato - non aveva raggiunto la significatività statistica, sollevando dubbi sull’efficacia clinica di lenadogene nolparvovec. C’è però da dire che il confronto con una coorte di storia naturale contribuisce a sottolineare il dato positivo. Inoltre, anche nei trial in cui sia stato trattato un solo occhio, il risultato di quest’ultimo è sempre migliore rispetto a quello non trattato. Il dato migliore rimane comunque quello ottenuto nello studio clinico di Fase III REFLECT nel quale GenSight ha previsto la somministrazione della terapia genica in entrambi gli occhi.

INTERVENIRE PRIMA O DOPO?

Un secondo punto oggetto di dibattito ha riguardato i dati ottenuti dai pazienti trattati tardivamente - ossia tra i 6 e i 12 mesi dopo la diagnosi di malattia - rispetto a quelli trattati precocemente - da 0 a 6 mesi. Infatti, i risultati dello studio clinico di Fase III REVERSE sui pazienti a trattamento tardivo evidenziano un miglioramento della funzione visiva più spiccato rispetto a quelli dello studio clinico RESCUE, ossia pazienti trattati più precocemente.

“In modo controintuitivo quindi si osservano dei risultati migliori nei pazienti che avevano ricevuto la terapia genica a maggior distanza dalla diagnosi”, continua la dott.ssa La Morgia. “Questo comportamento paradossale può essere spiegato da una serie di fattori clinici e fisiopatologici, tra cui il fatto che nella fase acuta di malattia si crei uno stato di pseudoedema delle fibre intorno alla testa del nervo ottico che potrebbe interferire con la penetrazione del vettore virale, impedendogli così di raggiungere l’obiettivo”. Anche su questo punto la discussione con EMA si è rivelata molto viva.

UNA SITUAZIONE DI STALLO…

“Al termine di ripetuti confronti, per non incorrere in una bocciatura finale da parte del CHMP, l’azienda ha deciso di ritirare il dossier così come era stato concepito per riformularlo e immaginare un’ulteriore studio clinico mediante cui chiarire gli elementi controversi”, spiega Carelli. “La delusione della Comunità dei pazienti di fronte a questa notizia è comprensibile ed è giustificata ma la partita non è ancora chiusa”. Infatti, GenSight auspica di tenere aperto il dialogo con l’ente regolatorio europeo richiedendo un’approvazione condizionale successiva alla realizzazione di uno studio che risponda alle richieste e agli interrogativi di EMA.

…MA CON QUALCHE SPERANZA ANCORA ACCESA

Sul piano delle manifestazioni cliniche la LHON è molto variabile, con pazienti quasi del tutto ciechi e altri che mantengono una minima capacità di vedere che permette loro di avere una discreta qualità di vita. Per ognuno di essi anche un piccolo miglioramento ha un enorme valore. Tanto la terapia genica quanto l’idebenone non riescono a bloccare in via definitiva la perdita della vista, ma possono contribuire in maniera significativa all’ottimizzazione di una successiva ripresa della vista, così da garantire al malato una qualità di vita accettabile. “Seppure nell’impossibilità di bloccare definitivamente il decorso di malattia, i dati degli articoli più recenti che hanno analizzato tutti i trial conclusi sulla terapia genica mostrano che i pazienti trattati hanno avuto un miglioramento visivo più spiccato rispetto ai non trattati”, afferma La Morgia, aggiungendo che tali risultati sono confermati anche dai risultati raccolti relativamente all’uso compassionevole di lenadogene nolparvovec a cui hanno avuto accesso alcuni pazienti (molti dei quali trattati anche con l’idebenone, n.d.r.). “Lenadogene nolparvovec è ora in fase di produzione e fino al termine di quest’anno non sarà disponibile, ma dal 2024 i centri come il nostro potranno richiederlo tramite fondi nazionali come quelli garantiti dalla Legge n.648/1996. Attualmente, è una delle opzioni a cui stiamo pensando per continuare a trattare in sicurezza i nostri pazienti”.

“Il caso GenSight è destinato a far riflettere a lungo sulle modalità con cui gli enti regolatori si approcciano alle terapie avanzate”, conclude Carelli. “Per le malattie rare occorre infatti ridisegnare i modelli tramite cui realizzare gli studi clinici e analizzare i dati necessari a ottenere le approvazioni condizionali. Tutto va rivisto non solo in funzione delle logiche di malattie a bassa diffusione ma anche di trattamenti, quali la terapia genica, che richiedono un metro e una prospettiva di giudizio del tutto nuovi”.

Con il contributo incondizionato di

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